Quante volte all’ora di pranzo mi sono seduta al tavolo e facendo il nome della croce mi sono sentita sussurrare da mio nonno paterno frasi di questo genere: “cara Sara quanta fame avevamo in trincea ai tempi della seconda guerra mondiale ...”. Ero appena una bambina ma quelle parole sono impresse nella mia mente tutt’ora.
“ ... l’esercito italiano ci forniva ogni giorno 600 grammi di pane, 100 grammi di carne e pasta (o riso), la frutta e la verdura raramente, un quarto di vino e del caffè. Il problema più ostico era l’acqua che non sempre era potabile e non superava il mezzo litro al giorno. Soffrivamo spesso di gastroenteriti deabilitanti. Io ebbi la sfortuna o la fortuna di trovarmi in prima linea e in questi casi la gavetta era leggermente più “sostanziosa”.
Il cibo era sempre freddo, razionato e di scarsa qualità perché cucinato nelle retrovie e trasportato durante la notte, così facendo la pasta arrivava in trincea collosa. Il brodo spesso si trasformava in gelatina mentre la carne e il pane, una volta giunti a destinazione, erano duri come pietre, rendendo il cibo disgustoso e immangiabile. Posso dire di essere sopravvissuto alla fame e alla guerra grazie alle numerose lettere che ho mandato a tua nonna… ”
La fame è una “brutta roba”, è vendicativa e rende irascibile chiunque. Un tempo imposta dalla povera contingenza della trincea, oggi griffata dall’opulenza con il nome di dieta.
A mio nonno Giovanni
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