lunedì 10 febbraio 2014

mercoledì 15 gennaio 2014

DOVE SONO ANDATI A FINIRE I 615mila MAIALI IN ITALIA?


Nell’ultimo anno sono scomparsi in Italia 615mila maiali, colpa delle importazioni di carne dall’estero per realizzare falsi salumi italiani di bassa qualità, con il concreto rischio di estinzione per i prelibati prodotti nazionali: dal prosciutto di San Daniele a quello di Parma, la cui produzione è calata del 10 % dall’inizio della crisi nel 2008. La Coldiretti scende in campo e lancia l’allarme sul futuro di uno dei settori di punta della produzione agroalimentare nazionale dove trovano occupazione 105mila persone tra allevamento, trasformazione, trasporto e distribuzione, ora in pericolo.

La chiusura forzata degli allevamenti è stata causata dall’impossibilità di coprire i costi di produzione per i bassi prezzi provocati dalle importazioni dall’estero di carne “ di bassa qualita’ “ per ottenere prosciutti da “spacciare” come Made in Italy per la mancanza dell'obbligo di indicare in modo chiaro in etichetta la provenienza. In Italia due prosciutti su tre oggi provengono da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania e Spagna senza che questo venga evidenziato chiaramente in etichetta. Il consumatore pensa di magiare esclusivamente prosciutto di maiali allevati in Italia proprio per colpa di una mancata trasparenza di etichettatura. Un inganno per i consumatori e un danno per gli allevatori italiani impegnati a rispettare rigidi disciplinari di produzione per realizzare carne di altissima qualità che da mesi non viene neanche piu’ quotata.

venerdì 3 gennaio 2014

POLVERI PER FARE IL VINO A CASA IN POCHI MINUTI

Kit a base di mosto per produrre “ in casa propria ” alcuni vini tipici italiani come il Chianti o il Merlot. Affrontai questo caldo argomento già tempo fa ma questa frode, diffusa e tollerata in diversi Paesi europei, sta dilagando a macchia d’olio.
Il Regno Unito è forse il Paese UE che si distingue per la diffusione di questo tipo di kit che usurpano i nomi di vini italiani protetti dalla legislazione comunitaria. Cosa si potrebbe fare per ostacolare tutto ciò? Innanzitutto, i Consorzi di tutela potrebbero fare qualcosa di più per difendere le denominazioni usurpate, e poi le autorità dei Paesi membri hanno la responsabilità di proteggere i loro consumatori dalle frodi, ma anche di garantire il rispetto delle indicazioni geografiche protette (IGP) dall’UE. La Commissione europea ha l’onere di tutelare nei contesti internazionali (es. USA, Canada).

 Di seguito riporto la foto di uno di questi kit per fare il vino che ho trovato in un supermercato a Londra. Con meno di 30 euro è possibile preparare diversi litri di vino. Prima erano solo i siti on line, ora è possibile trovarli e acquistarli comodamente nei negozi.


Kit per fare il vino

Kit per fare il vino

Triste anzi tristissimo, ma questo è ciò che sta accadendo.

mercoledì 1 gennaio 2014

UN TELECOMANDO CHE SCOPRE GLI INGREDIENTI NASCOSTI


Questo innovativo strumento è in grado di identificare gli ingredienti nascosti di ogni alimento rendendo la vita un po’ più semplice per chi soffre di allergie alimentari. Si chiama TellSpec ed è uno spettrometro in grado di rilevare le componenti esatte di qualsiasi cibo. Versatile da usare, questa specie di telecomando tascabile, funziona grazie a un laser che, puntato sul prodotto in questione, riesce a classificare i fotoni a seconda della lunghezza d’onda e a determinare i composti chimici contenuti nel prodotto. Naturalmente tutte le  informazioni rilevate dal telecomando sono poi inviate ad un app smartphone che le rende leggibili all’utente. Di chi è questa idea geniale? Del manager Isabel Hoffmann e del matematico Stephen Watson, un’idea tutta canadese. TellSpec si presenta come uno strumento potenzialmente molto utile per chi soffre di allergie alimentari, permettendo un’analisi del cibo accurata e, potrebbe addirittura aiutare a individuare le intolleranze. “L’app consente inoltre di annotare i sintomi quando si hanno delle reazioni avverse dopo aver mangiato qualcosa. Tenendo monitorati gli ingredienti dei alimenti che introduciamo, sarà più semplice individuare quelli a cui siamo più sensibili.” Racconta Isabel Hoffmann.



 L’idea è innovativa, ma in termini di costi se uno desiderasse acquistarlo? Quelli sono ancora in fase di sperimentazione e topo secret. Staremo a vedere!  

domenica 22 dicembre 2013

TAPPO ANTI - RABBOCCO PER L'EXTRAVERGINE DI OLIVA

Chiamatela “ lobby ”dei ristoratori del Nord Europa, oppure chiamatela “maledizione” dei ristoratori del Sud Europa, il problema però non cambia e continua a sussistere. Il provvedimento del “salva-olio” non supera l’esame. Le oliere non spariranno dalle tavole dei ristoranti europei dal 1 gennaio 2014. Questo accadeva lo scorso giugno a Bruxelles, ma non è la prima volta che si affronta questo caldo tema. Non tutti sono al corrente che in Italia esiste una legge del 2006 che, per tutelare il consumatore, proibisce le oliere nei locali pubblici. Il motivo è quasi ovvio, a pensarci: dentro l’oliera si possono mettere oli di qualsiasi genere e qualità. Purtroppo però, la classica ampollina per condire l’insalata è quasi sempre presente sulle tavole. Intanto, in mancanza di un regolamento comunitario, alcuni Paesi si stanno muovendo così: in Portogallo la legge “anti-rabbocco” esiste dal 2005, viene messa in atto senza problemi e senza costi aggiuntivi, mentre la Francia ha proposto recentemente un decreto interno. L’Italia e i tutt i Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo hanno perso questa battaglia mentre al contrario, l’Olanda e l’Inghilterra, sono stati più abili a convincere il Commissario europeo Dacian Cioloş a passare dalla loro parte. A volte mi chiedo, ma cosa ne capiscono Paesi come ad esempio il Belgio, di olive, di molitura, di frangitura o di gramolatura? Perché l’Europa non tutela i Paesi come l’Italia, che per tradizione producono olio e, soprattutto, probabilmente ne capiscono qualcosa? Al ristorante capita spesso di degustare un olio con un’etichetta importante, il cui contenuto non corrisponde a quel prodotto, in quanto rabboccato, danneggiando così il produttore e ingannando chi lo sta utilizzando comodamente al tavolo. Nella grande maggioranza dei ristoranti, ad esclusione (forse) quella di alta qualità, si continua a travasare gli oli avanzati in bottigliette o in ampolle già colmi di un altro olio, diverso o il medesimo, originando una forma “chimerica” di olio che, lasciatemelo dire, è il più delle volte una vera schifezza! A mischiare un olio con uno precedente cosa succede? Succede che si ottiene un olio rancido, con un sapore alterato. Non pretendo (anche se, sempre più ristoranti si stanno allineando su questo punto che rappresenta sicuramente un indice di qualità) una carta dettagliata degli oli, come accade per il vino o per l’acqua, ma se il tappo antirabbocco o antifrode, diventasse obbligatorio per legge, almeno per tutti gli oli extravergini Dop, si eviterebbe di ingannare il consumatore una volta per tutte. I ristoratori si oppongono, non tutti ovviamente, ma solo chi è convinto che il consumatore sia stupido e che non se ne intenda di qualità dell’olio, pensando quindi che sia inutile investire tempo e denaro.

Una curiosa soluzione tecnologica l’ha trovata la Guala Closures, azienda leader mondiale nella produzione di chiusure anti contraffazione per bevande (come, ad esempio, i superalcolici) e alimenti. Questa azienda ha recentemente messo a punto un tappo anti rabbocco per l’olio che, secondo una classifica stilata dalla onlus statunitense US Pharmacopeial Convention, è l’alimento che, una volta aperta la confezione, è più suscettibile a pratiche di sofisticazione. In parole povere, l’olio è l’alimento che è più facile trovare adulterato. In cosa consiste questo innovativo tappo? La Guala Closures, in linea con il decreto “salva olio”, ha messo a punto una chiusura specifica per le bottiglie di olio d’oliva, composta da cinque pezzi (vedi figura) che impediscono qualsiasi possibilità di contagio e di rabbocco e quindi di frode e di truffa ai danni dei consumatore. Il sigillo anti manomissione e il sistema di valvole che impediscono il rabbocco, tutto brevettato dall’azienda, permettono di verificare subito l’integrità del packaging durante l’acquisto. Al momento rimane un po’ un’utopia, in quanto i piccoli e medio-grandi frantoi dovrebbero munirsi di una tappatrice apposita e dovrebbero acquistare delle bottiglie studiate proprio per permettere l’aggancio del tappo.
Tutto questo si tradurrebbe in un costo decisamente maggiore. 




Desideravo concludere sottolineando che è anche un problema culturale, è che non si sta attribuendo l’importanza giusta che l’olio meriterebbe, nonostante sia considerato il “ Re “ della dieta mediterranea. Non si dovrebbe paragonare l’olio ad un banale condimento ma, bensì e nonostante se ne utilizzi di meno, come un vero e proprio ingrediente, ad azione non curativa ma preventiva, una sorta di “ functional food ”, un cibo funzionale per la salute ed il benessere dell’organismo.

Se, sedendovi al tavolo di un ristorante, notate una bottiglietta di olio unta e bisunta, sicuramente ha subito uno o più rabbocchi, quindi attenzione!

domenica 8 dicembre 2013

DIABULIMIA: LA NUOVA MODA PER PERDERE PESO

La diabulimia, deriva dall’unione delle parole bulimia e diabete, è un fenomeno sempre più in ascesa, in cui le donne affette da diabete smettono di assumere l’insulina per dimagrire. I malati di diabete di tipo 1 per sopravvivere devono ricorrere alle iniezioni di questo ormone, prodotto dal pancreas. Ciò porta, in alcuni casi, ad un aumento di peso, in quanto l’insulina è una sostanza che stimola la formazione e l’accumulo di grasso (lipogenesi). Quando un diabetico non assume l’insulina, il suo livello di glucosio (zucchero) nel sangue aumenta, senza che possa essere convertito in glicogeno e fornire l’energia necessaria. Il glucosio viene quindi eliminato attraverso le urine, e le calorie in esso contenute non vengono utilizzate.



Foto presa dal web

Chi sono le persone più a rischio? sicuramente le donne, che non accettano i lori difetti e qualche centimetro di grasso in più del normale. Negli Stati Uniti sta dilagando a macchia d’olio e, secondo il gruppo di supporto Diabulemia Helpline oltre il 40% delle donne diabetiche di età compresa tra 15 e i 30 anni modifica o addirittura elimina le dosi di insulina necessarie con conseguenze catastrofiche. Senza gli zuccheri il corpo inizia a rompere le molecole di grasso e le proteine, conducendo alla formazione dei famigerati chetoni, composti tossici per l’organismo. Le complicanze vanno dall’insufficienza renale, alla cecità alla morte.
Dopo il boom della pasta senza glutine per dimagrire, nonostante non si sia celiaci, ora anche questa inquietante abitudine, che può costare la vita di una persona.

NON FATE SCIOCCHEZZE.

lunedì 25 novembre 2013

L’AMARA SENTENZA SUGLI “ AMARI DIGESTIVI ”

E’ molto raro recarsi in un Paese estero e, dopo un pasto, chiedere un amaro digestivo. Contrariamente, in territorio italiano è quasi un “ must ” ricorrere ad un qualcosa da sorseggiare per concludere, magari, una sfiziosa cenetta. E’ parte integrante della nostra tradizione, è godurioso e da sempre ci propinano l’idea che l’amaro a fine pasto ci aiuti nella digestione. Proprio con questa scusa, circolano tanti luoghi comuni. Comincio con una sorpresa, al contrario di quanto si pensi comunemente, l’idea che l’amaro aiuti la digestione è soltanto un’illusione. Fermi tutti! Prima di attaccarmi, non intendo dire che è un prodotto alimentare di serie B, anzi, è mia abitudine quando sono in compagnia gustare un bicchierino di un ottimo amaro digestivo, perché è gradevole, è piacevole, è appagante e distende i nervi. Potrei attribuirgli numerosi appellativi positivi, ma non che sia un coadiuvante della digestione e, quindi, da assumere dopo il caffè.
Ma cosa sono davvero gli amari digestivi? Sono degli infusi di diverse tipologie di erbe in alcool. Si utilizzano piante o radici come achillea moscata, semi di anice, menta piperita, bacche di ginepro, genziana, assenzio, rabarbaro e spezie quali cannella, zafferano, chiodi di garofano oppure cortecce o bucce di agrumi. Il tutto è triturato e messo a macerare in una soluzione alcoolica o idroalcoolica per estrarre le varie essenze, successivamente filtrato, e infine mescolato con il caramello. Il segreto che caratterizza ogni ricetta sta proprio nel tempo di macerazione dei vari ingredienti.
Tra le tante etichette, ve ne sono alcune che godono di fama internazionale. Attualmente, ogni regione italiana ha il suo amaro tipico in base alle erbe, alle piante e agli alberi che crescono in zona. Anche se la produzione si è pian piano spostata dai frati e dai monasteri alle industrie, esistono amari in cui avviene una macerazione in alcool di oltre 40 erbe e un affinamento in botti di rovere per oltre un anno.
Ma senza andare fuori tema, vi siete mai chiesti cosa rende gli amari digestivi? Saranno davvero le erbe utilizzate ad azione distensiva e stimolante? Secondo voi è corretto sottolineare sulla confezione le loro proprietà digestive? (vedi foto, con la marca nascosta). Ne abbiamo proprio la certezza assoluta? Se da un lato si ha una sensazione di leggero bruciore che si avverte nello stomaco (il gusto amaro delle erbe, infatti, stimola le papille gustative e aumenta la secrezione di saliva e di succhi gastrici, dandoci l’impressione che stiamo digerendo meglio) dall’altro lato l’alta gradazione alcoolica (la maggior parte degli amari si aggira intorno ai 30-35°) irrita le pareti dello stomaco e può rallentarne lo svuotamento. Inoltre, molti di loro contengono parecchio zucchero, quindi anche se ci sembra di aver “digerito” il nostro pasto, in realtà non abbiamo fatto altro che aggiungere calorie a quelle già assunte.
Ci sono poi delle aziende che ingannano il consumatore, ho trovato addirittura alcuni amari che dichiarano di non avere nessuna gradazione alcoolica e di essere solo a base di estratti di erbe, ma spesso il processo fermentativo delle stesse erbe produce un minimo di gradazione alcoolica, quindi attenzione! L’unico amaro che mi viene in mente, del quale ne è stata accertata la garanzia medicinale ed è quindi venduto in farmacia, è l’Amaro Medicinale Giuliani, con solo il 7% di gradazione alcoolica e con estratti di rabarbaro, genziana, più altre erbe.





Se proprio dovessi attribuire delle proprietà digestive, pur non contenendo delle erbe medicinali, le affiderei sicuramente ad un vino a bassa gradazione alcoolica (10-14°), che può favorire la digestione perché l’alcool, se assunto a piccole dosi durante un pasto, stimola una minima secrezione gastrica. Tuttavia, se non ricordo male la Corte di giustizia dell’Unione Europea (Cgue) ha emesso una sentenza il 6 settembre 2012, in cui un vino non può essere “ facilmente digeribile ”. La controversia era nata tra Deutsches Weintor, una cooperativa viticola tedesca, e Land Rheinland-Pfalz, cioè l’organo che controlla la commercializzazione delle bevande alcooliche nel Land Renania-Palatinato. Ciò che si contestava all’azienda era la dicitura sull’etichetta «facilmente digeribile» in virtù del ridotto tenore di acidità.

A stomaco vuoto l’etanolo è ancora più dannoso per l’organismo perché la mucosa gastrica non è protetta dal cibo ed è dunque più vulnerabile. Ecco perché il miglior momento per bere un amaro, ad alta gradazione alcoolica, è al termine del pasto più abbondante della giornata o, comunque, alla sera. Fate poi attenzione, leggendo la lista degli ingredienti sull’etichetta, al colorante aggiunto: in alcuni casi è possibile trovare l’E 150, il caramello che conferisce un colore che va dal bruno al nero, ottenuto mediante riscaldamento secco e bruciatura di zuccheri in presenza di alcali, ammoniaca, solfiti o di qualsiasi combinazioni di questi composti. Finche leggete la presenza dell’ E 150 A o B diciamo che è ok, invece se sono presenti l’E 150 C o D iniziate a preoccuparvi, la normativa europea ha anche fissato per quest’ultimi delle dosi giornaliere accettabili (DGA), proprio per l’ipotesi di alcuni effetti cancerogeni per l’uomo.
Arriviamo ora al giro di boa e al tasto dolente: l’apporto calorico. Un bicchiere di amaro da 30 ml contiene 55 calorie (5 arrivano dagli zuccheri, introdotti per “correggere” il gusto amaro delle erbe, le altre 50 dall’alcool). La prima cosa che verrebbe da dire è: “ chi ha problemi di linea, dunque, farebbe meglio a evitare gli amari ”. Sfatiamo questo luogo comune, ribadendo per l’ennesima volta che è la dose/quantità che rende qualcosa dannoso per l’organismo. Un altro importante aspetto da non sottovalutare è che, nonostante la tradizione comune voglia le cose naturali e preparate in casa più salutari rispetto a quelle prodotte industrialmente, l’amaro rappresenta una delle eccezioni. Infatti, per le produzioni industriali difficilmente si utilizzano i veri estratti delle piante ottenuti per infusione, ma semplicemente degli aromi naturali che a primo acchito potrebbero sembrare di qualità inferiore, ma in realtà sono più stabili e si mantengono inalterati nel tempo. Le erbe unite all’alcool, rischiano di alterarsi e diventare anche tossiche con il passare del tempo, in quanto continuano a fermentare senza nessun controllo.
Desidero concludere con una frase che ha destato la mia attenzione leggendo il Libro “ Vini d’Italia” di Luigi Veronelli: “ l’amaro dovrebbe essere preso secco o in alternativa alternato con acqua ghiacciata in quanto deve essere prima accarezzato con lo sguardo, poi con le labbra ed infine con la lingua, senza fretta, in piccoli sorsi, come se fosse qualcosa di raro e prezioso che una rapida sorsata potrebbe distruggere ”.

Nulla di più corretto.